Piazza Liberty (ingresso Apple Store)

 
 

Milano è una città meravigliosa.
Un tempo però la adoravo molto di più.

La frequentavo spesso, non solo perché ci lavoravo, ma perché i miei amici abitavano lì. Era un punto di arrivo naturale, un luogo che sentivo mio anche senza possederlo. Eppure, nonostante io ci sia nato e parte della mia famiglia abbia radici profonde in questa città, Milano non l’ho mai vissuta davvero come cittadino.

L’ho sempre guardata da fuori.

Sono cresciuto nella Stalingrado d’Italia: Sesto San Giovanni.
Un posto dove le case costavano meno, dove finivi senza sceglierlo davvero, e dove la vita non prometteva molto ma pretendeva tutto. Lì si stabilirono i miei nonni, materni e paterni. Classe operaia, schiena piegata prima ancora delle mani. Non per vocazione, ma per necessità.

Uno di loro combatté nella seconda guerra mondiale. Tornò segnato nel corpo e nello sguardo. Non raccontava molto, come fanno quelli che hanno visto cose che non si spiegano. Si infilò in una delle grandi industrie sestesi e da lì non uscì più, se non la sera, con l’odore del ferro addosso.

L’altro la guerra non la combatté.
O almeno non in divisa.

So che una notte cercava del cibo lungo lo scambio ferroviario di Segrate. Fame vera, quella che graffia lo stomaco. Venne sorpreso, una raffica di mitra gli attraversò la gamba. Sarebbe finita lì, come per tanti, se non fosse stato per i partigiani. Lo raccolsero come si raccoglie un uomo ferito a morte, e lo riportarono indietro alla vita.

Io sono cresciuto sulle spalle di queste storie.
E Milano l’ho sempre guardata sapendo che non era davvero il mio punto di partenza, ma il mio orizzonte.

Una città che ho amato a distanza.
Come si ama ciò che luccica ma non ti ha mai cullato.

Ovviamente non starò qui a raccontare in dettaglio quel periodo.
Quello che ho scritto non è un capitolo di storia, ma un frammento di origine.

Serve solo a farvi capire da dove vengo.
Chi c’era prima di me.
Che tipo di silenzi mi porto addosso.

La mia famiglia non è fatta di racconti leggeri.
È fatta di fabbrica, di guerra, di fame, di notti che non dovevano esistere.
È fatta di uomini che non hanno chiesto nulla alla vita e hanno ricevuto tutto il contrario.

Io sono nato molto dopo.
Quando le bombe erano solo fotografie in bianco e nero,
quando la miseria aveva già cambiato volto,
ma non sostanza.

Quello che sono oggi non nasce a Milano.
Nasce nelle officine, nelle rotaie, nelle cicatrici che non ho addosso ma sento mie.

Questa non è nostalgia.
È coscienza.

È sapere che, anche quando racconto una città, sto sempre raccontando anche le mie radici.

E questo basta.

Alessandro.

Corso Vittorio Emanuele

 
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L’indecisione della meta